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29 aprile, per ricordare: l'omicidio Ramelli

Tensione forte, oggi, a Milano, per le contrapposte commemorazioni dei morti di fine aprile: Ramelli e Pedenovi da una parte, Amoroso dall'altra. Vediamo di ricostruire storie e contesti di quegli anni terribili. Anche perché alcuni dei personaggi d'epoca sono tornati alla ribalta proprio in questi giorni
Dal capitolo V di Guerrieri: La primavera del 1975
Dopo le “giornate di aprile” [quattro compagni uccisi in rapida successione a Milano, Torino e Firenze da un fascista, un carabiniere, un guardione e un agente in borghese, con scontri violentissimi in tutt'Italia, ndb] Milano resta la piazza più calda: a fine mese si conclude l'atroce agonia di Sergio Ramelli, attivista del Fronte della Gioventù: un mese e mezzo prima una squadra d'Avanguardia operaia, composta da studenti di Medicina (ci vorranno dieci anni per accertarlo), lo aveva aspettato sotto casa sfondandogli il cranio a colpi di chiave inglese (uno degli slogan più feroci e al tempo stesso imbecilli all'epoca era Hazet 36, fascio dove sei).
A salvargli la vita non era servita neanche la scelta di lasciare a metà anno l'istituto tecnico “Molinari”, santuario dell'ultrasinistra. Paradossalmente emergerà al processo che a ucciderlo era stata proprio l’imperizia dei picchiatori, molti dei quali alla prima azione. Infatti il servizio d'ordine di Ao era sbeffeggiato dai ben più efficienti “Katanga” (specializzati nella frattura di ossa e articolazioni dei malcapitati finiti sotto tiro) del Movimento studentesco della Statale come la “brigata lepre”. Il 25 maggio, invece, è una banda di sambabilini a uccidere: la vittima, lo studente lavoratore Alberto Brasili, si era macchiato dell'imperdonabile delitto di aver strappato un manifesto passeggiando con la fidanzata sotto i portici della “piazza nera” per eccellenza di Milano. Lizzani immortalerà la storia nel film-cronaca: San Babila ore 20, un delitto inutile.
Non passa mese che non si aggiungano vittime alla guerra per bande. La notte tra il 16 e il 17 giugno 1975 in tutte le grandi città italiane la sinistra festeggia con cortei di auto e torcide il risultato elettorale del Pci, che consegna tutte le metropoli alle “giunte rosse”. In un corteo resta imbottigliata una studentessa napoletana che rientra a casa: Jolanda Palladino abita nel popoloso quartiere della Sanità, alle spalle della “Berta”, una delle sezione più forti e dure di un Msi che vanta un tradizionale radicamento politico nel sottoproletariato urbano. Le lanciano nell'abitacolo della 500 attraverso il tettuccio aperto - quella sera a Napoli era caldo - una bottiglia molotov. Muore dopo pochi giorni di atroce agonia. Tra gli arrestati spicca il nome del segretario della sezione, Michele Florino, un infermiere popolarissimo tra gli attivisti col nome di battaglia di “Faustino”. Riesce a cavarsela dimostrando la sua estraneità allo sciagurato attacco: oggi è un senatore di Alleanza nazionale ed è in prima fila, senza incertezze, nella lotta alla criminalità organizzata e alle infiltrazioni della camorra nei movimenti per il lavoro [oggi è esponente di un movimento sudista di fuoriusciti dalla Destra, ndb]. Diversi gli esiti dei suoi coimputati: uno sarà riarrestato nel 1979 per una rapina a Mentana compiuta da una batteria di banditi tutti con precedenti politici di destra (tra cui l’ex ordinovista Paolo Bianchi, il “Giuda da pascolo” che ha provocato l’arresto nel febbraio 1977 di Pierluigi Concutelli); il fratello di questi diventerà uno dei più ricchi e potenti narcotrafficanti, fino alla cattura in Brasile, dopo il “pentimento” del suo padrino, il boss Umberto Ammaturo. La scelta di rottura di “Faustino” con l'ambiente fascio-criminale non è scontata né facile: tra i grandi elettori missini della Sanità (il quartiere di Totò e del dramma di Eduardo De Filippo sulla guapparia) c'è un giovane e rampante ras: Peppe Misso, alias “Nasone”. Alterna talentuosi “colpi” in banca (sua è la rapina al maggiore Monte di pietà napoletano) a un appassionato impegno attivistico nelle prime liste di destra per i senzalavoro del quartiere. Un’iniziativa spregiudicata, in opposizione al forte movimento dei disoccupati organizzati costruito dalla sinistra extraparlamentare, promossa da Emiddio Novi, un giovane e brillante giornalista, ex vicesegretario nazionale del Fronte da poco uscito dal partito (con un seguito di clamorosa scazzottata in federazione tra i suoi fedelissimi e i pasdaran del segretario provinciale) su un progetto di mobilitazione peronista delle plebi meridionali. Oggi Misso è il boss di uno dei clan in lotta per il controllo del quartiere (uno scontro combattuto dai rivali a colpi di autobombe alla libanese) ed è scampato all'accusa di aver fornito a Pippo Calò l'esplosivo per la strage del rapido 904 [in seguito ha cominciato un'anomala collaborazione che non gli ha procurato la qualifica di pentito. Tra gli accusati delle sue rivelazioni Florino, a cui addebita il mandato di un triplice omicidio ai danni dei rivali del clan Giuliano di Forcella. A loro volta leader pentiti dei clan Giuliano e Stolder confermano le sue responsabilità per la strage del 904 per cui l'altro ieri è stato spiccato provvedimento cautelare contro Totò Riina, ndb]. La polizia lo considera il leader del cartello più forte della camorra napoletana e la magistratura lo accusa di traffici illegali sull’assegnazione di posti di lavoro ai disoccupati. Novi, invece, dopo aver diretto nei primi anni ‘90 un quotidiano napoletano di area socialista (ma sempre su posizioni di anticomunismo duro) [è stato per alcuni anni il mio 'capo', ndb] , è stato tra i fondatori di Forza Italia e da tre legislature siede in Parlamento [ora non più: non è stato ricandidato nel 2008, ndb] (1-continua)


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