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Verbano e la pista dei servizi: ma chi sarà mai Luigi Esposito?

Alle origini del rilancio dell'inchiesta sull'omicidio Verbano ci sarebbe una vecchia (di sei anni) imbeccata dei servizi che, in seguito a un approfondito lavorio investigativo, avrebbe messo capo alla nuova "pista nera". Se però è ben noto uno dei due personaggi segnalati nella "soffiata", Giovanni Marion, risulta del tutto ignoto il presunto complice, Luigi Esposito.
Solo che a sfogliare i ritagli di giornale (sia pure nella forma digitale degli archivi elettronici) si scopre che la storia criminale di Marion si intreccia spesso con quella di un quasi omonimo, Gianluigi Esposito. Personaggio, quest'ultimo, di primo piano, balzato agli onori della cronaca per una spettacolare evasione da Rebibbia in elicottero, quando un fantasioso commando si andò a pigliare un boss franco-algerino del clan dei marsigliesi. E se di Gianluigi Esposito si dovesse trattare, beh, allora non si potrebbe certo parlare di una modesta batteria di quartiere: perché nel 1980 Esposito, che era stato legato a filo doppio ai "pariolini" del delitto del Circeo (era figlio del portiere dell'hotel Plaza, personaggio leggendario per più di una generazione di cronisti parlamentari) aveva già alle spalle un'assoluzione per insufficienza di prove per il sequestro Mattacchioni, un  processo che aveva visto alla sbarra un bel po' di figli di papà più o meno fascisti. Ma questo è soltanto un dubbio.
Quel che è certo è che Esposito ha incarnato proprio il prototipo dell'avventuriero "fascista" per la generazione degli anni '70. Dopo la leva di chi è partito per la Legione straniera negli anni '40 e '50 e di chi si è fatto le ossa come mercenario in Africa negli anni della decolonizzazione, dal Congo alla Rodesia, Esposito si fa deliberatamente bandito. E i legami personali con i "pariolini" non ne infangano l'immagine neanche tra i "duri e puri" dello spontaneismo armato che con lui hanno condiviso lunghi anni di carcere speciale. E ne rimpiangono la morte assurda: uno capace di scappare dal cortile di Rebibbia con le guardie che fanno il tiro al bersaglio arrampicandosi a forza di braccia fino all'elicottero e condannato a morire solo come un cane, in una stanza d'albergo, stroncato da una crisi d'asma.
Ma questo è sola un'ipotesi: quello che è certo è il ruolo di Giovanni Marion che si specializza, sulla falsariga del primo Giuseppucci, come armiere della mala e che invece passerà indenne da una serie di accuse più gravi. (2-continua)  

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