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Scontri di Roma, Caratossidis: lettera aperta a un compagno antifascista

La pubblicazione nel blog dell' "inno dei rivoltosi" scritto da Paolo Caratossidis, "in proud and glory" dei giovani ribelli protagonisti degli scontri di Roma, ha innescato una accanita discussione sulla mia bacheca di Facebook, in cui si è distinto, per l'intransigente rappresentazione delle ragioni immortali dell'antifascismo un militante comunista, più volte processato per gruppi di fiancheggiamento alle Brigate rosse (il Movimento proletario di resistenza offensivo, i militanti rivoluzionari coimputati con le Br-Pcc alla fine degli anni Ottanta). Caratossidis, che in questa fase non parla a nome di Forza nuova, ha così replicato:
 Gen.le brigatista C. P., 
capisco che il suo dogmatismo ideologico la porti a mistificare per forza la realtà, comprendo che non voglia o non possa analizzare in maniera obiettiva ciò che la circonda. Ma accusarmi genericamente di chissà quali 'crimini' nei confronti di chissachi non rende onore né alla sua intelligenza, né al substrato di idee per le quali ha combattuto o combatte.
Vede, caro parabrigatista, io e lei o gente come lei potremo anche vivere replicando conflittualità inutili e martoriandoci vicendevolmente, ma non abbiamo (non ha) alcun diritto ad allargare il tracciato di uno scontro che è pura memoria storica. Noi non porgiamo l'altra guancia nè lisciamo il pelo ai nemici rancorosi, ma abbiamo l'onestà intellettuale di assumerci responsabilità dirette senza mediazioni. La semina dell'odio ha un po' stancato, è diventata una pratica remota che può solo avvelenarvi la bile.
No, C. P. io non la considero né un nemico né un ostacolo a chi vuole in buona fede migliorare le condizioni di vita delle gente che ha meno. Lei è il frutto della sua storia come lo sono tutti coloro che vorrebbero gente come Lei a marcire in una fossa o con la benda di fronte ad un plotone di esecuzione. No, C. P., non la odio io, anzi nutro ancora simpatia per gente come lei (che nel male) riesce ancora a provare sentimenti forti e rancori ancestrali. Il problema è proprio questo però: perché al posto di dissanguare la vostra bisaccia d'odio nei confronti dei poveri diavoli di turno non riuscite a vincere la vostra arroganza manichea. Dividere il mondo in buoni e cattivi può anche essere corretto, ma se allo stesso modo sono gli stessi 'dannati', 'sciagurati', 'maledetti' a rinvigorire questa logica legittimando così le ragioni del potere, non si fa buon servizio alle generazioni presenti e quelle future.

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