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Verità vo cercando/2 - Il referente di Cauchi

'Nel delineare la figura di Augusto Cauchi, il bombarolo nero aretino che dall'Argentina sfida i servizi segreti,  è emerso il suo rapporto con il capoposto del Sid a Firenze, un personaggio che ritorna in molte vicende intricate dell'eversione grigia. Vediamo di chi si tratta, sempre utilizzando il dossier sulle deviazioni del Sismi pubblicato da Gnosis nel 1995.


Inquietante ed a suo modo emblematica appare la vicenda del colonnello Federigo Mannucci Benincasa, responsabile del centro di controspionaggio di Firenze dal 29 gennaio 1971 al 28 febbraio 1991.
È vicenda singolare per l'inamovibilità di questo funzionario nonostante gli interrogativi che hanno contrassegnato il suo incarico di alta responsabilità; per un ventennio egli è stato capocentro in una città che è delicato e primario punto geografico di incontro di notevolissimi interessi e di interscambi a raggio internazionale, entro un'area tradizionalmente ad altissima densità massonica.
Si è accertato che il colonnello Federigo Mannucci Benincasa è stato, di concerto con un ufficiale del Servizio informativo dell'aeronautica, il colonnello Umberto Nobili, l'autore di una lettera anonima al Procuratore della Repubblica di Roma (preceduta da una telefonata ugualmente anonima del Nobili), con la quale si indicava Licio Gelli quale mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
Sempre in collaborazione con il colonnello Nobili egli fece pervenire un'altra lettera anonima al giudice istruttore Gentile, titolare dell'inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna, segnalando il coinvolgimento di Gelli nella strage compiuta sul treno Italicus e in quella del 2 agosto 1980.
Mannucci Benincasa risulta essersi ingerito in varie maniere nel processo relativo a quest'ultima strage, trovandosi a Bologna nei momenti cruciali delle indagini, violando il segreto circa gli accertamenti sugli esplosivi e stabilendo un rapporto diretto con gli inquirenti, al fine di orientarne l'attività.
Deve essere inoltre ricordato il modo del tutto anomalo con cui ha gestito il patrimonio informativo su Licio Gelli agli atti del suo centro di controspionaggio (del quale Gelli è peraltro sospettato di essere un informatore), garantendo una sorta di cordone sanitario intorno alla figura del maestro venerabile della loggia P2. Il Mannucci Benincasa non trasmetteva le informazioni in suo possesso agli altri organi di intelligence o investigativi richiedenti (pregiudicando gravemente, negli anni 70, i tentativi di far luce sull'identità e sulle attività svolte dal capo della loggia P2), ma preferiva farne un uso del tutto personale.
La sentenza istruttoria del dottor Grassi evidenzia i rapporti del colonnello Mannucci con le vicende gelliane e il gruppo di potere che ha operato dal 1970 al 1981 all'interno del Servizio segreto militare.
La ricordata sentenza ordinanza del dottor Grassi ha disposto la trasmissione del provvedimento, nonché degli atti più rilevanti, alla Procura della Repubblica di Roma, affinché proceda nei confronti di Mannucci Benincasa e di altri (trattasi di Maletti, La Bruna, D'Ovidio, Nobili, Musumeci, Belmonte e Gelli) per i delitti di cui agli articoli 283 e 305 c.p. (45)
Si deve inoltre ricordare che, nell'istruttoria relativa alla strage di Ustica, il Mannucci Benincasa ha ricevuto comunicazione giudiziaria per i delitti di cui all'articolo 476 c.p., in relazione agli articoli 490 e 351 c.p. (46). Attorno al colonnello è infine in corso un'investigazione per accertare l'eventuale suo coinvolgimento nella organizzazione e custodia di un deposito d'armi e munizioni da guerra fortuitamente ritrovato nel marzo 1993 in un locale che, a detta del proprietario, è stato per anni nella disponibilità appunto del responsabile del centro SISMi di Firenze.
Concludendo, c'è da chiedersi quali protezioni abbiano consentito, nel lungo arco di venti anni, la permanenza, in un incarico così delicato, di un soggetto che ha operato in modo tanto anomalo e con una visione così personale degli interessi del Servizio. (47)

Va precisato che nel processo principale giunto a dibattimento, il cosiddetto depistaggi bis, in cui era coimputato con Massimo Carminati, l'alto ufficiale dei servizi è stato condannato in primo grado a 4 anni e mezzo ma assolto in appello dalla calunnia con formula ampia (il fatto non sussiste). 

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