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Una storia molto personale 2 - un incontro a Parigi

Riprendiamo il racconto sull'autobomba di Milano e le false accuse contro Walter Spedicato
All'epoca lavoravo in compilazione al "Giornale di Napoli" e ad agosto ero sempre in servizio. Quando arrivò la foto Ansa con l'identikit io non avevo notato nessuna particolare somiglianza con Walter, che avevo conosciuto pochi mesi prima a Parigi, quando aveva già goduto dei benefici effetti della beauty farm dell'esilio.

La cosa è evidente se si confronta la foto della prima pagina del "Giornale di Napoli" con l'identikit,  pubblicata nel libro di Fiore e Adinolfi "Noi, Terza posizione" (non mi funziona lo scanner: anzi se qualcuno me la manda via email fa mi fa cosa gradita, così la pubblico) con le immagini di Walter disponibili su internet. La telefonata che accusava Spedicato di essere il responsabile del fallito attentato mi colse di sorpresa ma ci si misi poco a riorientarmi. Avevo come contatto con i latitanti il numero telefonico di un ex dirigente di Tp e poi di Settembre scampato alla macelleria giudiziaria ma rimasto legatissimo a Walter e a Gabriele Adinolfi.
Li avevo conosciuti tutti e tre insieme nell'autunno-inverno precedente. Ero a casa di Oreste Scalzone, alle spalle del Beaubourg. Stavamo lavorando alla correzione di bozze del suo "Biennio rosso", da me curato come editor, in vista del ventennale del '68. Bussarono alla porta di rue de Montmorency, sempre aperta per tutti i rifugiati. Non avevano appuntamento e invece un gruppo di brigatisi rossi romani sì, pochi minuti dopo. E quella era gente puntuale. Ci volle poco a decidere, per evitare rischi di incidenti diplomatici, che toccasse a me dargli - come si dice a Napoli - l'intrattieni. In un baretto del terzo arrondissement. Io non soffrivo particolari fobie antifasciste e all'epoca, tutto sommato, avevo ritenuto interessante il fenomeno di una destra sovversiva e non più eversiva. Ma un militante di Terza posizione a Napoli aveva gambizzato un pischello del nostro giro e poi io stesso ero sfuggito a un'imboscata di Sasà Lasdica, che era stato il capataz di Settembre dopo che era uscito dal carcere per la rissa in cui era rimasto ucciso Claudio Miccoli. E così decisi che il mio atteggiamento fosse di ferma, cordiale ostilità. Non sapendo su che attaccare (all'epoca conoscevo poco l'ambiente) mi misi a questionare sulla prima cosa che mi venne a mente. E cioè sulla velleità del discorso razzista in un paese privo di basi etniche omogenee come l'Italia. E come dimostravano i tre interlocutori: con Adinolfi di evidenti ascendenze normanne (o longobarde?), Spedicato cresciuto nel profondo Sud Est ma assolutamente interscambiabile con un cabilo o un libanese, evidente sedimentazione di uno sbarco in Salento dei "popoli del mare", e il terzo, veneziano, che a metterci la scazzetta in testa, lo avresti detto uscito dal ghetto [e siccome era una persona spiritosissima, decise di usare per i contatti telefonici con me l'eteronimo di Sefardi...]. Mi toccò beccare una dotta lezione su Evola e lo spirito della razza, poi come mio solito, ci misi poco a sciogliermi ...   (2-continua)

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