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Blitz 28 agosto/3 - Adinolfi: 30 anni di depistaggi impuniti



di Gabriele Adinolfi
Il 28 agosto 1980, trent'anni fa, scampai ad una retata repressiva architettata a tavolino e intrapresi una latitanza destinata a durare vent'anni.
Il provvedimento per me non fu una vera e propria sorpresa; erano settimane che al telegiornale, quando parlavano della strage di Bologna, sullo sfondo appariva regolarmente la foto di una  scritta sui muri con un gigantesco “Terza Posizione”.

Tuttavia sembrava che gli inquirenti chiamati disciplinatamente a dare corpo e sostanza al depistaggio suggerito dai tension-makers non avessero ben chiaro il nostro panorama e  non sapessero cosa fosse esattamente TP né chi la componesse.
Pertanto si poteva auspicare che dietro tutto quel fumo si potesse ancora evitare l'arrosto. Che  gli inquirenti avessero le idee confuse ne avremmo avuto una clamorosa conferma meno di un mese più tardi, con il blitz specifico contro Terza Posizione quando una buona metà dei mandati di cattura furono emessi nei confronti di persone che non avevano alcun rapporto con noi.
Quel 28 agosto invece furono emessi 28 mandati di cattura che colpivano alla cieca l'intera area della destra radicale, dal Fuan a Costruiamo l'Azione. Tra questi solo due imputati erano di TP: si trattava di me e di Roberto Fiore. Quest'ultimo scampò alla cattura perché, uscito la notte con una ragazza, si era fermato miracolosamente a dormire presso Walter Spedicato.
In quanto a me ero al nord. Avevo raggiunto Donatella Bianchi, la direttrice responsabile del nostro giornale, che viveva in Piemonte con suo marito ma si trovava ancora in vacanza con lui in Liguria e, fortunatamente, non era reperibile. Mi aveva cercato per decidere il da farsi in quanto la Digos aveva effettuato una perquisizione nella casa dei suoi genitori al Terminillo, sfondando peraltro la porta e lasciandola aperta ad eventuali saccheggiatori. Ci vedemmo perché dovevamo capire se la perquisizione fosse legata ad un eventuale mandato di cattura, né sapevamo se fosse dovuta alla sua funzione di direttrice responsabile del giornale oppure al fatto di aver ospitato a lungo un giovane bolognese, Luca De Orazi. Su di lui a torto (o forse con artificio) si erano posati i riflettori in quanto, vivendo a Roma dopo esser scappato di casa, ed essendo comunque di Bologna, aveva un profilo da dare in pasto alla pubblica opinione: consentiva di far risaltare “oscuri” contatti tra la città colpita e quella popolata dalla maggior parte di noi capri espiatori del depistaggio.
Fu così che quella mattina  fui uno dei sei che non vennero arrestati. Gli altri, eccetto i vacanzieri tardivi, vennero tutti catturati nelle rispettive case  perché non avevano davvero alcuna ragione di attendersi la retata.
Quel blitz fu preparato dal dirigente del servizio segreto del ministero degli interni, il pidduista Russomanno, detenuto in Regina Coeli con l'accusa di aver commesso  favoreggiamento indiretto a vantaggio delle Brigate Rosse.
In seguito girò la voce che Russomanno con l'accusa a me e a Fiore non c'entrasse affatto  perché la sua lista sarebbe stata arricchita all'ultimo momento di alcuni nominativi aggiunti a penna da altri funzionari.
Non ho mai avuto conferma di questa versione che aumenta la catena dei misteri che hanno ammantato lo stragismo di (anti)stato.
Comunque sia questo fu il primo tentativo di depistaggio nei miei confronti per il massacro di Bologna. Ne sarebbero seguiti altri tre; gli inquinatori avrebbero capitolato solo dodici anni più tardi.
28 agosto 1980: da quel giorno intrapresi una nuova fase di vita che mi avrebbe permesso di contrarre significative esperienze di maturazione che solo chi ha vissuto una latitanza o altre condizioni che annullano l'identità sociale consolidata, creando una sorta di doppio e offrendo la percezione della precarietà quotidiana,  ha avuto la fortuna di vivere. Penso magari a una milizia nella Legione Straniera.
28 agosto 1980: mi rendo conto oggi che allora mia madre aveva più o meno l'età che ho adesso mentre io avevo un anno e mezzo in meno di quanti mio figlio ne ha ora. Eppure tra noi selvaggina ero un esponente anziano!
Intrapresi la latitanza senza alcun'organizzazione, senza documenti falsi e senza fondi.
Per i primi due mesi prosciugai quel poco che chi mi era caro mi aveva dato, dormendo ogni notte in treno. Feci il pendolare insonne fino a quando non scegliemmo di espatriare – io sciando altri con altri mezzi - e di farci un minimo di posizione stabile e lavorativa (allora era più facile senza una sfilza di documenti).
Non lasciai subito l'Italia e rimasi politicamente operativo fin quando la serie dei blitz contro il nostro movimento non ci obbligò a cambiar scelta. Non accettai però mai di abbandonare l'impegno in Patria dove tornai scendendovi da clandestino e collezionando così appendici alle condanne associative. All'estero, per questioni di gusto, pur mantenendo un'opportuna quanto indispensabile mobilità tra Austria, Spagna e Inghilterra, feci base con Walter a Parigi.
Sono passati trent'anni ma sia la strage sia i depistaggi sono crimini rimasti sempre impuniti.

4 commenti:

  1. "Sono passati trent'anni ma sia la strage sia i depistaggi sono crimini rimasti sempre"
    E mica si può fare così! Mi lasci la frase a metà?

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  2. E se oltre all'aggettivo ci fosse stato altro?
    Sono vicinissimo a vincere il regalo....

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