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Tuti e l'Italicus: l'adnkronos rilancia l'intervista di Pino Casamassima 4a edizione

(umt) L'intervista che segue è stata rilasciata da Mario Tuti e scritta da Pino Casamassima giusto un anno fa. Nulla di strano: i due parlano di storie vecchie di 35 anni (c'era ancora l'Urss, la guerra del Vietnam e Mao era vivo, giusto per renderci conto). C'è chi oggi a Brescia è impegnato nell'impresa disperata di giudicare una strage del 1974. E quindi un po' di cassetto (o meglio di archivio elettronico) non le ha fatto male. Ma la ragione del ritardo è interessante: il testo fu proposto da Pino (posso dargli del tu: è un amico e un collega con cui abbiamo numerosi interessi in comune e prima o poi riuscirò a battere la mia pigrizia e a fare assieme quel libro che mi ha proposto ...) all'Altro, l'allora quotidiano di Piero Sansonetti. Un giornalista coraggioso, spregiudicato e non timorato sulla questione dell'antifascismo (vedi il putiferio subito per la manifestazione del Blocco studentesco dello scorso 7 maggio) ma quella volta non si è sentito di pubblicarla. Perché contiene una clamorosa rivelazione dell’uomo nero del terrorismo neofascista degli anni Settanta.
L'intervista è stata immediatamente rilanciata dall'Adnkronos, con richiamo nell'home page del portale dell'agenzia.
Digitando su "Google" le parole chiave "Tuti italicus" quasi tutta la prima pagina è coperta dall'intervista. Ecco i link con Ternionline e con il forum di Finanzaonline

 Intervista di Mario Tuti con Pino Casamassima
Fra poco ci siamo. Il prossimo 5 agosto i telegiornali e i giornali ricorderanno la strage dell’Italicus del 1974, quando, poco dopo l’una di notte, all’uscita di una galleria di San Benedetto Val di Sambro, una bomba era esplosa nel secondo scompartimento della quinta carrozza del treno partito da Roma e diretto al Brennero, falciando 12 persone, e ferendone una cinquantina.
Di quell’eccidio avevo già parlato con Mario Tuti, processato, condannato e poi assolto, nell’estate di cinque anni fa. Poi lo avevo sentito saltuariamente, finché mi aveva detto che aveva qualcosa di interessante da dirmi per le ricerche storiche che stavo facendo. Ma era sempre impegnato col teatro, così non ci pensai più. Fino a pochi giorni fa…
«Adesso ti dico una cosa nuova… E lo dico a te perché te lo devo da quando t’eri messi a lavorare su Alceste Campanile».
Sei un po’ in ritardo. Quella storia è uscita nel mio libro “Il sangue dei rossi”.
«Diciamo che il libro e la trasmissione che hai fatto su Campanile sono ricostruzioni corrette, perché sostenute da sentenze di tribunale, ma sono la verità giudiziaria non quella vera. Quella vera, porta infatti dritto dritto all’Italicus»
Come?
«Nel corso del processo in cui ero imputato, venne fuori un biglietto della polizia di Reggio Emilia che facendo riferimento ad una fonte confidenziale - e quindi protetta anche di fronte alla magistratura - riproponeva per la strage dell’Italicus una pista legata ad ambienti dell’intellighenzia di sinistra di quella città, e che era già stata indicata all’inizio delle indagini, ma poi lasciata cadere».
Se ti riferisci alla cosiddetta pista rossa, mi pare sia stata smontata pezzo per pezzo, anche perché trovava sostegno solo in Vittorio Campanile, il padre di Alceste, notoriamente uomo di destra che, stando anche agli stessi inquirenti, si mosse più che per trovare la verità, per dimostrare la sua tesi: cioè che suo figlio era stato ucciso dai suoi stessi compagni.
«In effetti, malgrado la protezione della fonte, in via informale le notizie del biglietto vennero attribuite proprio al padre di Alceste, che mi pare venisse interrogato in proposito, ma senza dare conferme».
Quindi, niente di nuovo.
«Non è così, e ora ti spiego perché.  Quando le persone indicate in quel biglietto furono chiamate a testimoniare, una di queste, tale Scolari, docente nella facoltà frequentata da Alceste, e dirigente del Partito Comunista, si suicidò durante la notte, impiccandosi e lasciando un biglietto molto confuso, in cui ricordava appunto la sua dedizione al partito e l’angoscia per la citazione a testimoniare».
Avrà vissuto un particolare momento di debolezza emotiva, come quei ragazzini che si suicidano perché respinti a scuola: mica è per quello che saltano dalla finestra! La bocciatura è solo una goccia che fa traboccare un vaso già pieno.
«A parte il fatto che un professore universitario ha tutti gli strumenti culturali per sapere che la citazione come testimone non ha niente di infamante, anzi, è un alto dovere civico, la cosa che inquietò all’epoca e che dovrebbe inquietare adesso è la certezza che alla base di quel gesto estremo doveva esserci qualcosa di molto grave e sporco».
Che portava dove?
«Tutti i giornali e i telegiornali diedero ampio rilievo alla notizia. Non solo, ma lo stesso processo per l’Italicus venne sospeso perché il pubblico ministero era corso a Reggio Emilia per consultarsi coi suo colleghi».
E quali furono i risultati?
«I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Furono prese le misure necessarie per far cadere ogni cosa: infatti, nessuno menzionò più l’episodio di Scolari e, se ci fai caso, quella dell’Italicus è la strage meno ricordata di tutte».
Non mi pare. Comunque, seguendo la tua tesi, perché dovrebbe essere la meno ricordata?
«Perché è l’unica dove ci sono molti e concordanti indizi su una commistione tra servizi segreti deviati e, questa volta, non i soliti partiti governativi, o il Movimento sociale…»
Svela l’arcano.
«Il partito comunista».
Maddai…
«Quando un colonnello dei carabinieri si prende senza battere ciglio una condanna a 4 anni per proteggere la loro “traduttrice” iscritta al partito comunista, nonché compagna di un resistente greco, come l’Aiello…».
Che significa? Spiegati per favore.
«È qui che entra in ballo il tuo amico Alceste».
Amico…
«Amico nel senso che è uno su cui hai lavorato parecchio».
Questo, sì.
«Ma non abbastanza. Non hai approfondito le troppe ambiguità e reticenze su quel caso. Per non parlare dell’opera di disinformazione operata dal Bellini…».
Reo confesso dell’omicidio di Alceste.
«Credimi, dietro la morte di Alceste ci sono implicazioni innominabili. E ho speso la parola più idonea: innominabili».
La mia limitatezza mi impedisce di capire, di collegare il caso Campanile all’Italicus, anche perché non mi hai spiegato nulla.
«Rivaluta bene quel che ti ho detto. Ricomponi il puzzle che comprende il suo professore suicida, il biglietto del padre in cui coinvolgeva appartenenti al Pci,  l’oscuramento mediatico di quella strage, il colonnello dei carabinieri e, infine, le plurime e discordanti confessioni di Bellini e hai il quadro giusto. Non ti devo dire niente, io, ce l’hai sotto gli occhi la storia vera dell’Italicus e di Alceste Campanile».
Traduco: nell’attentato all’Italicus è coinvolto il Pci, e Alceste Campanile viene soppresso perché sa troppo e non ci si può fidare di uno come lui, fra l’altro eccessivamente esuberante ed esposto a Reggio Emilia. E’ così?
«Quel biglietto coi nomi è sparito, anche se la storia d’Italia è piena di  pizzini e biglietti spariti… Ora torniamo alla pista nera dell’Italicus. Considera che dopo la mia assoluzione nel processo di primo grado, come richiesto anche dallo stesso pubblico ministero e dalle parti civili delle vittime, che non conclusero contro di noi - a parte le parti civili istituzionali come il comune di Bologna, il cui avvocato, Montorsi, ex ufficiale dei carabinieri, sarà poi indagato insieme a Gelli -, in Appello, dopo le dichiarazioni dei cosiddetti pentiti neri, vale a dire Calore, Vinciguerra, Bonazzi, Izzo: tutti concordi nell’escludere non solo la mia colpevolezza per la strage, ma anche il semplice coinvolgimento coi servizi o la massoneria, venni invece condannato! Formidabile, no?»
Concordo.
«Mentre dopo l’assoluzione per l’Italicus venni mandato nei cosiddetti “braccetti della morte” che erano il grado estremo di durezza repressiva in Italia, tipo Guantanamo per intenderci, stranamente, dopo la condanna in Appello per un delitto così grave e infamante, venni mandato nel miglior carcere d’Italia: Porto Azzurro! Quasi una sorta di scambio, che, implicitamente, mi diceva: “tieniti la condanna, tanto da qui con un paio d’anni di buona condotta esci...”».
E tu?
«Come sai, io fui poi assolto definitivamente per la strage dell’Italicus. Ma ti confesso che non presi bene quella specie di patto scellerato, e cercai altre strade, magari anche per provare ad andare a mia volta ad interrogare qualcuno di quei giudici, togati e popolari, che mi avevano condannato, e cercar di capire cosa c’era sotto...»
Senza riuscirci, ovviamente.
«Ovviamente. Comunque, oggi non me ne frega più niente, anche perché sono certo che pure se uscisse una confessione o delle prove inoppugnabili che riguardano l’ex Pci e i suoi tanti “affiliati”, al massimo vivrebbero un giorno sui giornali e in televisione, poi sarebbero oscurate dal silenzio. Tu che ami il teatro, dovresti pensare a trarre un adattamento da un bel racconto di Durrenmatt: Giustizia...».




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