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Fuori dal cerchio: una metarecensione

Aveva decisamente ragione Pavese. Si scrive sempre un unico libro. Le nostre, parlo come autore "ossessionato", sono al più variazioni jazzistiche sullo stesso tema. Ma ora sto maturando la convinzione che si legga anche sempre lo stesso libro, ovvero che ognuno nei libri degli altri ci legge quello che ci vorrebbe che fosse scritto, o, nel caso di cui andrò a parlare in questo post, enfatizzando solo determinati punti di fuoco.

Quest'idea arcana mi è passata per la mente leggendo le varie recensioni di "Fuori dal cerchio", il viaggio nella destra radicale (immaginaria e immaginata) di Nicola Antolini, tutte più o meno encomiastiche ma che, senza nessuna operazione di falsificazione, si focalizzano sui temi che stanno particolarmente a cuore ai critici (stavolta nient'affatto severi).
Lo stesso Antolini, del resto, senza nessuna pretesa totalizzante, ha tagliato la scelta dei soggetti con l'accetta: dentro casa Pound e dintorni (Blocco Studentesco, Turbodinamismo, Iannone, Cappuccio, Frency Giovannini, Nardi, i padri nobili Murelli&Adinolfi) Area (De Angelis, Marconi, Cimmino), gli intellettuali/artisti/giornalisti Renzaglia e Giraudo, la sinistra osservante (il sottoscritto, Telese, Morucci). Fuori Forza nuova, Fiamma, skinhead e sinistra nazionale. Permettendo così a un brillante dirigente forzanovista di sfrocoliare: beh, se non ci stiamo nel viaggio della destra radicale vuol dire che si sono accorti che siamo un'altra cosa?
Così Adinolfi esalta il volume come un capolavoro, sottolineando la "completezza": Antolini "penetra in ogni corridoio e in ogni stanza" attraverso "una serie di diapositive ad illustrazione delle espressioni culturali, sociali, politiche, artistiche, del movimento non-conforme". C'è tutto, evidentemente, perché non c'è traccia di quella che Adinolfi liquida da qualche anno come "destra terminale". E alla fine, anche quello che gli è del tutto indigeribile, l'intervista a Telese, trova una sua ragione provvidenzialistica: perché permette di esaltare quello di buono e di bello che c'è prima e dopo di questo punto nero. E poi mi si chiede perché considero Adinolfi una personalità geniale.
Per Luciano Lanna, invece, quello che rischia di essere fuorviante è il ricorso alla categoria di "radicalismo di destra" mentre è invece evidente "l’irriducibilità di questo universo antropologico e culturale" a questa categoria, perché "le persone e i soggetti da lui interpellati rappresentano a larga maggioranza quantomeno una rottura con questi schemi". L'autore di "Fascisti immaginari" sottolinea invece gli "strappi epistemologici" di una "realtà movimentista" le cui proposte si affermano "attraverso le forme espressive più disparate, dalla letteratura all’arte, dal saggio di storia alla manifestazione, dall’azione politica di base all’azione parlamentare, utilizzando tutti i canali di diffusione oggi disponibili. Idee che si muovono: dalle minoranze alle quali sono sempre state legate all’orizzonte più ampio del consenso di massa".
Per Andrea Colombo, infine, i fascisti di Antolini sono "strani, anomali e verrebbe quasi da chiedersi se davvero fascisti". E in linea con la polemica sostenuta in occasione della manifestazione del 7 maggio del Blocco studentesco il caporedattore de "Gli Altri" ribadisce che il problema in Italia non è la fascisteria ma l'ondata illiberale e autoritaria. E quindi dà ampio spazio all'anarchicheggiante Miro Renzaglia che non ha dubbi: «Libertà o deriva autoritaria? Secondo me è una domanda più attuale rispetto alle vecchie dicotomie destra-sinistra, fascismo-antifascismo con cui ci siamo tormentati per anni. Io voglio un’estensione dei diritti. Non c’è nessun ritorno indietro. Voglio essere più libero oggi di quanto lo sia stato ieri. Sono stato massacrato per decenni in quanto militante neofascista e proprio io mi dovrei accodare alle richieste di restrizione dei diritti, per esempio quelli dei gay?».
Questa metarecensione non è un trucco per aggirare il compito che mi ero dato. Alla fine il libro l'ho letto, in due giorni di sole e bagni termali, superando l'incazzatura con l'editor che ha lasciato nel testo un pezzo "superato" della mia intervista (in cui facevo il professorino su Morucci, spiegando agli incliti un suo errore nell'uso del lessico schmittiano mentre invece Valerio nella lunga conversazione con Antolini spiegava che la scelta di parlare da "nemico" a casaPound era una forzatura per lanciare un messaggio alla compagneria. E quindi mi tocca fare ammenda). Ma stamattina mi è venuta una botta di angoscia, quando, chattando con un ex allievo molto antifascista e un po' zuccone, ho faticato a rispondere a una sua domanda secca e stupida: "Ma cosa vogliono questi di Casa Pound?". Ora grazie a Nicola e la sua voglia di affrontare "un passaggio d’epoca forse cruciale, che interessa in modo diretto da dialettica destra-cultura-consenso, e che può comportare un possibile profondo cambiamento per l’intera società: la creazione di un orizzonte post-ideologico nel quale le parole d’ordine si sovvertono e l’egemonia culturale diventa territorio di conquista", ne conosciamo percorsi, fantasie, storia di vita, "ma, compagni, e la classe operaia"?

3 commenti:

  1. Non volevo "sfrocoliare"! :-)
    Dico che finalmente qualcuno ha capito che non siamo noi ad essere la destra radicale!
    Era ora!

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  2. Su una cosa non mollerò mai: una certa libertà (e leggerezza) lessicale.

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  3. sottoscrivo! infatti la faccina :-) sorrideva anche perchè sfrocoliare non l'avevo mai sentito, da noi si dice sfrugugliare, ma il senso è lo stesso no?

    già ci prendiamo troppo sul serio noi figurati se non accetto la leggerezza lessicale!

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